“Il nostro è un marketing aggressivo”, ha ammesso Suzanne L. Shenton del Metropolitan Museum of Art di New York nel suo intervento ad Art&Tourism, la fiera di Fortezza da Basso dedicata al turismo culturale, a Firenze sino a domaniAggiungi un nuovo appuntamento per domani sera. “Ai nostri visitatori offriamo mappe, audioguide, percorsi per famiglie, vari punti ristoro e molti altri servizi. Persino un giardino sul tetto! A monte, poi, lavoriamo con gli hotel, partecipiamo a fiere e realizziamo materiali per i professionisti del turismo”, ha proseguito. Sarà per questo che l’anno scorso il Met è riuscito a portare tra le sue stanze quasi 6 milioni di visitatori? Il discorso di Shenton dimostra perfettamente quanto i musei, al giorno d’oggiAggiungi un appuntamento per oggi, abbiano bisogno di diversificare la loro offerta e le loro strategie di marketing per avere successo. Dello stesso avviso anche Marion Wolff del Van Gogh Museum, che in merito al dibattito di Art&Tourism sul futuro dei musei ha sottolineato anche l’importanza della tecnologia: “Il website del Van Gogh Museum ha registrato, soltanto nel 2011, 1,6 milioni di visitatori unici, e con gli investimenti che abbiamo programmato speriamo di arrivare a 15 milioni all’anno entro il 2015”. Anche Shenton ha sottolineato l’importanza delle tecnologie più all’avanguardia: “Il 61% dei nostri visitatori utilizza uno smartphone, dato di gran lunga maggiore alla media nazionale. E noi dobbiamo andare incontro a esigenze di questo genere. Senza però concentrarci esclusivamente sui giovani: servono iniziative diversificate per ogni diversa fascia di utenza”.
Ma l’“educazione” del pubblico all’amore per l’arte passa anche attraverso soluzioni apparentemente più semplici, come ad esempio, secondo le parole di Evello Acevedo del Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid, “rimanere aperti oltre gli orari tradizionali. Il nostro obiettivo, d’altronde, è far sì che i visitatori partecipino attivamente al museo, che non dev’essere soltanto una vetrina, ma anche un luogo di integrazione sociale rivolto a tutti i ceti”. L’attenzione alle diverse tipologie di pubblico è una delle strategie più importanti tra quelle attuate dai musei moderni per tornare o continuare a essere pieni: “Portiamo avanti dalle dieci alle venti ricerche di mercato ogni anno – ha continuato Shenton – per capire chi sono i nostri visitatori e cosa vogliono da noi, e per capire come cambia la demografia del nostro pubblico”.
E nel nostro Paese? Chi sono i visitatori dei musei? Quali sono le esigenze del pubblico italiano? Ad Art&Tourism ha provato a fornire una risposta l’Associazione Civita durante il convegno “E io non ci vado. I motivi della disaffezione e qualche idea per avvicinare gli italiani a mostre e musei”. Secondo i dati raccolti da Civita il 58,9% del campione intervistato (solo maggiorenni) non frequenta musei, mostre o siti archeologici. Un dato sconcertante, tanto più in un Paese come l’Italia: in termini assoluti 28 milioni di persone non hanno l’abitudine di entrare in uno dei numerosissimi templi della cultura presenti nel Belpaese. Perché? I motivi sono prevalentemente quattro: la gente non va ai musei per noia, per mancanza di soldi, per mancanza di tempo o perché i suoi interessi sono altri. A contare, ovviamente, è anche il grado di istruzione: i laureati costituiscono il 45% dei visitatori dei musei.
Al convegno di Civita è intervenuta anche Cristina Acidini, direttore della Soprintendenza Speciale per il Polo Museale della Città di Firenze, secondo la quale la mancanza di soldi è spesso una scusa per mascherare lo scarso interesse del pubblico italiano nei confronti della cultura: “La tendenza negativa – ha spiegato Acidini – investe anche i luoghi dell’arte a ingresso gratuito. Ciò significa che la disaffezione del nostro Paese nei confronti dei musei non nasce solo dalla crisi economica”.
Come rimediare a una situazione tanto negativa? Secondo i dati illustrati da Civita durante il congresso di Art&Tourism bisognerebbe puntare sulle già citate soluzioni dei grandi musei internazionali: aperture più elastiche, magari in orari insoliti; un maggior numero di servizi compresi nel prezzo del biglietto; un migliore e maggiore impiego della tecnologia; ma soprattutto un approccio che cominci già dalla scuola e dal mondo dell’istruzione ad abituare le persone all’amore per l’arte.
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