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Vendée Globe: la prima intervista "terrestre" di Sam Davies

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Roberto Imbastaro

Dopo aver trascorso la notte alla fonda in attesa di alta marea, Roxy imbocca finalmente il canale della Sables d'Olonne. E come ad ogni arrivo, la magia accade. A prua della sua barca Sam saluta la folla, accende le torce e agita le mani verso coloro che la applaudono.... piccola silhouette, quasi minuta, salta sulla tuga di una barca mitica che nelle ultime tre edizioni ha conquistato tre podi. Una bordata di applausi e di incoraggiamenti a dritta, una salva di hurrà a sinistra. Sam risponde a tutti senza dimenticare di rendere omaggio alla sua équipe che è salita a poppa. Poi arriva il momento di mettere i piedi a terra, di salutare da vicino il pubblico. Sul palco la raggiungono Roland Jourdain e Armel Le Cléac'h. Yann Elies, venuto a salutarla, rimane incastrato tra la folla e non riesce a raggiungere gli amici per una foto di famiglia. Pochi momenti di pausa,poi la conferenza stampa e le prime impressioni da terra per lei che ogni giorno ha confessato di provare un’infinita felicità ad essere in mare.

Quali sono state le tue carte vincenti?
"Coraggio, la motivazione, un sacco di pazienza. Io ho avuto soprattutto la fortuna di avere un team a terra di assoluta qualità.Si tratta di una corsa solitaria, ma è un lavoro di squadra e senza di loro non avrei potuto fare ciò che ho fatto. Sono davvero molto fortunata ad avere i miei Roxy Boys"

Quali sono stati i momenti più difficili?
"Quando Yann si è rotto la gamba e quando Jean si è capovolto.Mi sono messa al loro posto. Ma anche perché, per andare avanti, non bisogna immaginare questo tipo di cose. Quando questo accade, è la cosa peggiore che ci cade addosso. Un altro momento difficile è stato quando nella risalita dell’Atlantico ho perso le 700 miglia di vantaggio che mi era guadagnata con fatica nell’Oceano Indiano e nel pacifico. In quel momento, ho ricevuto una e-mail di incoraggiamento da Yannick Bestaven e ho capito che nella mia piccola sfortuna, avevo la grande possibilità di essere ancora in corsa. Si dice che se molte persone sarebbero felici di stare al nostro posto questo è un buon motivo per restare positivi".

Problemi a bordo?
"Non ho avuto problemi particolari. Abbiamo anche fatto un gioco con Erwan, il mio preparatore. Quando ho avuto un problema tecnico, glielo segnalavo via mail. Poi ognuno per proprio conto cercava la soluzione. La mia sfida era quella di essere in grado di inviare un messaggio per dare la soluzione prima che lo inviasse lui. Alla fine è stato un 50 e 50".

Sei stata la prima degli inglesi. Che ne pensi della corsa dei tuoi connazionali?
"Vorrei elogiare la prestazione di Mike Golding, perché anche se non è arrivato ha fatto una corsa incredibile. Io lo guardavo navigare e dimevo a me stessa che tra quattro anni vorrei portare la barca come lui. Penso che Brian, se non avesse avuto così tanti problemi, sarebbe stato in grado di fare cose incredibili. Non mi aspettavo veramente di essere la prima di tutti gli inglesi”.

A proposito di inglesi, come è andata con il self-control?
"Ho sempre avuto controllo. E quando ero in bagarre con Roxy, ero io il capo. Ma ci sono cose che sfuggono ad ogni controllo, come gli iceberg, una roulette russa, o i container in Atlantico. I due giorni prima dell’arrivo, ho davvero avuto paura di colpire qualcosa. Ma è meglio non pensarci, altrimenti si rallenta e non si vince”.

Essere donna ti ha aiutato o penalizzato?
"La differenza tra uomini donne? Credo che, essendo donne, dobbiamo essere particolarmente motivate. Se si desidera arrivare è possibile farlo. Uomo o donna, è con la testa che ci si gioca la corsa. Io non ho mai pianto. Era il mio obiettivo: zero lacrime. Però alla fine, durante l’ultima sera, mentre ero sotto spi, pensando che era la mia ultima notte in mare.. ho fallito. Ma questo potrà ancora accadere tra un paio di giorni, quando mi renderò davvero conto che è finita”.


14/02/2009 22:07:00 © riproduzione riservata






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